Emilia Salvioni   
Una scrittrice ritrovata


Voci dei lettori  

 

 

 

 

 

                                    Angeliche Colline

In the summer of 1962 while I was traveling in Greece and reading Homer with my Classics professor I had the good fortune to meet Maria Laura and Amalia Corra.  We started a friendship that has endured to this day and over the years, often, though never often enough, we have gotten together in Pieve di Soligo, or sometimes in Padova or Verona.  On those visits, while searching for Venetian masterpieces in small town parishes, we would wander about the countryside on Napoleon’s tree-lined roads, crossing the stony Piave many times with the awesome blue mountains in the distance.  It was a time before big box stores and the Coop began to obliterate so much of the landscape and it was still predominantly one of fields, woods and vinyards.  On one occasion, Maria Laura and I drove to Bologna to visit her aunt, a lovely elderly woman who prepared lunch for us, and we sat and talked for the afternoon before returning to Pieve di Soligo.  I can recall very little of our conversation, probably due to my limited grasp of Italian at the time, but I do remember admiring one of her paintings on the wall, a beautiful landscape.

Then couple of years ago, Amalia gave me a small collection of stories by her late aunt, Emilia Salvioni, that she had recently helped to collect and re-publish with the title of Angeliche Colline.  As I read the stories and saw the references to Bologna, I wondered if the author could be the same person I had met on that occasion so many years ago.  It turned out that she was.  It made me very happy to remember this encounter. Salvioni’s stories are like her paintings, a kind of lyrical realism. They often describe the changes that have occured over time because of the destruction of wars and development and they provide a window on a way of life that has all but disappeared.   Emilia Salvioni has acute powers of observation for the world around her, and for the details of daily life whether in the small town, or in the city.  Her descriptions of the grape harvest, for example, and of laundry day, or of feeding and harvesting silk worms, are keen and full of life.  In a prose style that involves and stimulates all our senses, she is able to bring to life the sounds and sights that make up her world and above all to evoke the feel of it.   

While Salvioni describes the scenes and events of her childhood with the accuracy and passion of an ethnographer, there’s still another dimension, an emotional one, of family and ties across the generations.  Angeleche Colline is a world seen through the eyes of a lonely child observing life around her with psychological insight and a delightful sense of irony.  She’s a child growing up in a cultivated household with books, accustomed to being around adults, but misunderstood by them, perhaps because she herself is hiding from them.  In some of the stories there is a mood of sadness, of grieving for the loss of her mother who is still a presence only in the things she left behind.  Other stories are filled with humor, as when she tells of her long and adversarial aquaintance with donkeys as basic transportation with a hilarity worthy of Gerrald Durrell.

I feel very lucky to have crossed paths with this artist almost half a century ago, and to have spent a moment with her, however fleeting.   And reading her beautiful stories has allowed me to travel in her shoes and this has given me an even deeper attachment to the places around Pieve di Soligo that I have visited so many times and so happily over the years.

Henry Chalfant         New York City, March 23, 2006

 

 

Marcella Munari, laureata in lettere a Padova, si è dedicata all'insegnamento dal 1958 al 1994 con grande intelligenza ed eccezionale impegno, sempre interessata al mondo dei sapere in generale e della letteratura in particolare. Da anni mantiene una vivace corrispondenza con autori della nostra letteratura alcuni dei quali, come Isabella Bossi Fedrigotti, Paolo Ruffilli, Clara Sereni, Fulvio Tomizza, Paolo Barbaro ecc., ha presentato, attraverso l'analisi di qualche loro opera, negli incontri organizzati dal Comune di Valdobbiadene presso la locale Biblioteca Ghisalberti.

 Leggere, leggere, sempre leggere: il piacere della lettura non può essere sostituito o cancellato. Nella vita di ogni giorno, oggi anche troppo movimentata, è fortunata la persona che riesce a trovare un po' di tempo (anche se in effetti ognuno, se vuole, può trovarlo) per prendere un libro, appartarsi ed immergersi nella lettura, viaggiare nello spazio e nel tempo e, leggendo, riflettere, pensare, ricordare.

Per arrivare a questo risultato quale compagnia migliore delle pagine di Emilia Salvioni, nei due testi che, pubblicati all'Editore Guerrini e Associati, sono stati presentati a Pieve di Soligo presso la Biblioteca Comunale, in una serata da non dimenticare, il 26 settembre 2003? Molte persone erano in quella sala ad ascoltare i numerosi interventi; da segnalare in particolare quelli di Antonia Arslan, finalista quest'anno del Premio Campiello, e Patrizia Artuso, docenti degne di considerazione e stima anche per le due introduzioni ai testi di Emilia Salvioni.

La lettura di "Angeliche colline" può risultare interessante ad ogni persona e suscitare diverse sensazioni: alla scrittrice bastano una parola o una semplice frase (ad esempio: Farmacia, La Befana, Il bucato, L'asino, La città dei libri ecc.) per ricordare e far ricordare al lettore un po' avanti con gli anni un "mondo" che oggi non c'è più o, meglio, c'è ma è molto cambiato e a far rivivere i paesaggi, la vita le sensazioni, le atmosfere dei tempi lontani che, quasi a sua insaputa, sono presenti nella memoria, il naturale "hard-disk"di cui tutti siamo dotati. Nei più giovani i brani fanno nascere il desiderio di sapernee di più, di guardarsi attorno con maggiore curiosità e rispetto per la natura che li circonda e che è vista come un qualcosa di naturale, di normale, di quasi dovuto e quindi anche trascurabile.

"Lavorare per vivere" porta il lettore all'interno di una famiglia, al sistema di educazione, alla visione dei diversi doveri che spettavano agli uomini e alle donne. Sono pagine di profonda analisi che denotano la straordinaria capacità della Salvioni di guardare la vita fuori delle mura domestiche, nelle vie del paese, di considerare e descrivere l'animo umano con i suoi slanci di bontà, di generosità ma anche con le naturali invidie, gelosie, malignità sempre presenti dentro alle mura domestiche e dentro all'animo delle protagoniste e delle persone che le circondano e seguono, non sempre con animo benevolo, la loro lotta per affermarsi nella vita e fare un lavoro utile agli altri ed a se stesse.

 

Elena Naglia Sartori, nata a Ravenna ma diventata Vittoriese dopo il matrimonio, ha dedicato tutta la vita a casa e famiglia cominciando a scrivere soltanto da pochi ami. Ha partecipato a Concorsi di prosa e poesia e ha visto riconosciuta la sua opera da premi e menzioni. Sono stati pubblicati sette suoi racconti.

 Nulla sarebbe da aggiungere a quanto già scritto da Antonia Arslan e da Patrizia Artuso nelle presentazioni delle opere di Emilia Salvioni. Ogni mia parola di elogio o di stima sarebbe dunque un'inutile ripetizione. Nata, come la scrittrice, in terra emiliana, ma trapiantata nel Veneto da più di mezzo secolo, ho avuto occasione di frequentare amici, conoscenti ed anche parenti lontani residenti a Pieve di Soligo; parenti lontani considerati prossimi per la grande amicizia, la stima reciproca e i rapporti d'interesse sempre improntati alla più grande cordialità. E proprio nelle case di queste persone, legate alla scrittrice da vincoli assai più stretti, avrei dovuto sentire parlare di lei. 
Non avevo mai letta nessuna delle sue opere. Se lo avessi fatto, sarei stata spinta a chiedere notizie sulla vita e sull'intera produzione letteraria di Emilia Salvioni. Quando, alcuni giorni fa, mi ritrovai tra le mani i due libri "Lavorare per vivere" ed "Angeliche colline", libri che un'amica, ben conoscendo la mia passione per la carta stampata, aveva voluto farmi leggere, pensai, dal titolo dei racconti, di dovermi immergere in quel mare di ricordi pieni di nostalgia capaci di coinvolgere, per quanto bene scritti, soltanto la ristretta cerchia di persone che, da quelle pagine, avrebbero potuto far riemergere frammenti di vita perduti fra le nebbie dei passato e messi di nuovo a fuoco dall'abilità di una penna felice.

Ed invece la scrittrice, usando le parole semplici di chi ha i pensieri ben chiari, è riuscita a fotografare, nei dettagli della vita di paese, quello che è patrimonio di tutti. Emerge dalle righe la tristezza profonda di una bambina poco felice, di un'adolescente ed infine di una donna condannata a quel tipo di solitudine riservata alle menti superiori.

Come il ricco, abituato al vino migliore, non riuscendo ad affrontare il bicchiere d'osteria, viene lasciato in disparte dagli avventori della taverna che non trovano in lui né I’amico, né il compagno, né l'uguale, cosi la donna troppo intelligente si ritrova prigioniera del suo stesso mondo, incapace, pur desiderandolo, di evadere. Vorrebbe essere come gli altri, ma gli altri, infastiditi dalla diversità, assumono nei suoi confronti l'atteggiamento di chi vuol nascondere un complesso d'inferiorità dietro l'arroganza, il disprezzo o la maleducazione.

E' stata una vera scoperta per me leggere sia il romanzo che i racconti e penso che   l'iniziativa   di    ristampare    le   due     opere    sia    stata     più che lodevole, riproponendo così alle nuove generazioni una prosa femminile destinata a restare nel tempo perché ancora piacevole, ancora moderna e sempre in grado di arricchire sia le menti che i cuori.

Maria Gozzi, insegnante di lettere nei licei e studiosa di letteratura italiana, ha al suo attivo una serie di pubblicazioni su importanti riviste letterarie e l’edizione critica della “Storia di Troia”di Binduccio dello Scelto, sec.XIV.

Angeliche colline
Raccolta di deliziosi elzeviri che presentano, con lucidità e talora un fondo amaro di pessimismo, ricordi di infanzia dell’Autrice, ma finiscono per comporre un ritratto della società italiana in un momento storico precisamente individuato. La scrittura è piana e scorrevole ma vivace e di grande efficacia.

Lavorare per vivere
Bel romanzo che racconta la storia, parzialmente autobiografica,di due sorelle appartenenti alla buona borghesia,ma che si ritrovano improvvisamente sole e rovinate economicamente. Da qui comincia, coraggiosamente, la loro “modernità”, perché si diplomano maestre e si mettono a insegnare, contro tutti i pregiudizi del tempo. La stessa spregiudicatezza dimostrano nei rapporti interpersonali, e questo le porta a capire molto più degli altri. Nello stesso tempo la solida educazione morale ricevuta le aiuta, nonostante i dubbi, a trovare l’equilibrio. Tutti i personaggi presentano qualche aspetto di ambiguità, e perciò stesso risultano vivi e interessanti: dalle due sorelle a, soprattutto, Antonio e Lori. Restano sullo sfondo i personaggi più tradizionali e non aperti ad evoluzione.

 

“Conoscere una scrittrice, scrive Magda Viero, padovana, che ha lavorato per anni come dirigente funzionaria nell’ambito amministrativo-fiscale, "è sempre un’esperienza piacevole, quando poi si scopre che è anche grande dentro ci si sente migliori. Questa è stata la sensazione che mi ha donato la lettura delle due opere di Emilia Salvioni ora ripubblicate”.

            Angeliche colline è uno splendido spaccato di “Amarcord veneto” che fa affiorare i nostri ricordi e nel contempo ci fa riflettere su quanto poco sia cambiata la mentalità delle nostre genti.

           Lavorare per vivere, pubblicato nel 1941, tuttora attualissimo, è una rappresentazione lucida, amara ma anche ironica della realtà di un mondo femminile in cui il lavoro, vissuto come necessità, pian piano apre ad orizzonti nuovi, ad una nuova e più avanzata emancipazione, soprattutto interiore.

 Graziano Pampaloni, professore di lettere nei licei, si occupa didattica della scrittura e di critica letteraria.

      Angeliche colline
Scrittura molto curata, sintassi snella e sempre leggibile, grande scuola e molte letture. I ricordi vengono trasfigurati in una specie di smalto coloristico; il quotidiano, anche attraverso una massiccia aggettivazione, viene reso “bello”. Grande attenzione estetica. In queste pagine c’è molto della pittura veneta. Si respira il piacere della scrittura. Si ha l’impressione che la Salvioni scriva principalmente per se stessa,per una sua necessità, indipendentemente dalla pubblicazione. Sembra che veda il mondo e la realtà con gli occhi di una bambina, al di fuori e al di sopra degli eventi, anche se crudi e difficilmente esaltanti, come qualcosa di transitorio, non definitivo, estraneo. Emilia vive la realtà come una vicenda ineluttabile da cui si estrania mediante il ricordo, rivisitandolo e rendendolo bello, cantabile, nostalgico. Del resto fin da bambina il suo giocattolo sono diventate le parole, la scrittura, i libri. La rappresentazione quasi sempre viene attenuata, se adombra una dimensione tragica lo fa in modo pacato, se ne ricava l’impressione di una persona fortemente impregnata di religiosità cattolica, che non è mai estrema ed estremista, cosciente che non c’è niente di nuovo nella realtà ma un continuo ritornare e che non resta altro che trasfigurarla in parole ed esprimere la metarealtà con abilità e colorismo. Scrittura come controllo dell’angustia interna e dell’insoddisfazione della vita.

Angeliche colline si legge molto volentieri e potrebbe essere un testo utile per una pedagogia scrittoria,ammesso che i giovani d’oggi ancora si applichino.

      Le vergini bianche 

Il romanzo ‘Lavorare per vivere[1], inizia con il sintagma Il paese, indicazione generica, ripetuta al settimo paragrafo,  che trova, infine, al nono paragrafo la sua individuazione nel toponimo  Pieve di Contigo. Questo modo di procedere marca la designazione delle tre ‘forze’ che determinano le vicende dell’opera: Storia,  Natura,  Cultura.

Con la prima indicazione Il paese (p.19) si presenta non solo la  situazione storico-urbanistica, ma anche si individuano sociologicamente gli abitanti. Infatti ad un primo inquadramento  cronologico, segue l’indicazione della composizione economica e di classe della  società e della popolazione locale.  Con il secondo Il paese (p.20) si danno la collocazione geografica e le caratteristiche paesaggistiche del luogo. Infine con Pieve di Contigo (p.21) avviene anche l’avvio della denominazione dei personaggi a partire dalla prima figura la signora Catina di Rovendolo (p.21). È evidente che i personaggi e i luoghi non sono realisticamente attendibili, anche se  individuabili sono molti referenti sia della toponomastica  che della  plausibilità  storica di alcuni cognomi.

La vicenda narrativa si svolge in un settennio[2] sul finire dell’ottocento, ma una serie di richiami riportano ad uno sfondo storico-politico di oltre un secolo, dalla fine della Repubblica Veneta allo spirare dell’ottocento. Anche se l’autrice estende lo sguardo al periodo successivo richiamando la prima guerra mondiale (p.19), ma pure, con un ambiguo tuttora (p.19), non solo allude al 1939, anno della composizione dell’opera, ma introduce una marca metacronica riferentesi, quindi,  al momento e al tempo di qualsiasi lettore. A questo s’aggiunge lo scenario naturalistico del solighese, con qualche accenno al brasiliano, con la marcata presenza della campagna veneta e delle abitudini della vita contadina del tempo. Ma quello che dà forma al tutto è l’agente narrativo, l’autrice,  che si manifesta pienamente fin dall’inizio del romanzo: intendo (p.19),  noi (p.21) e in questo, ancora una volta, con un’ambiguità, dato che propone un collettivo che coinvolge i lettori.  Storia, Natura, Cultura dunque sono i tre grandi referenti e fondamenti dentro cui si snoda l’intreccio. Bisogna subito dire che questi termini alludono a qualcosa di duplice: vi è la Storia generale, indipendente e sovrastante quella dei singoli, che compiono la loro storia individuale. C’è la Natura come realtà paesaggistica e coloristica, anche come cornucopia di beni e profumi, ma anche come agente di malattie e di morte. Infine la Cultura come tradizione, misoneismo, passività, ripetizione immutabile di comportamenti e idee, ma anche come occasione di lotta, di riscatto, innovamento e cambiamento. Si potrebbe dire che vi sono due forze ‘autonome’: la Natura nella sua valenza ciclica di vita-morte, cui tutti gli esseri sono soggetti e la Storia come accumulo di eventi, per lo piú imponderabili, e dentro queste due forze, i personaggi vengono fatti agire  con una cultura del sedimento, in modo da accettare con rassegnazione gli eventi storico-naturalistici, ma anche cosí marcando l’ottusità di una chiusura di fronte a qualsiasi mutamento che potrebbe mettere in crisi le ‘certezze’ accolte, oppure con una cultura del fermento, che vuol conoscere, resiste alle difficoltà, agisce per un mutamento personale e sociale. Mentre la prima subisce la Storia e dipende  dalla Natura, la seconda reagisce nella Storia e indaga la Natura.

Dentro i meccanismi dell’esistere, i personaggi di questo romanzo nella stragrande maggioranza appartengono alla cultura del sedimento; tre: Antonio Dalla Paula, Maria Ressi, Lori Ressi si differenziano per alcune scelte anticonformiste, ma fondamentalmente permangono nell’orizzonte del sedimento;  solamente Angelica Urban, Maddalena Urban, Sergio Dalla Paula pertengono alla cultura del fermento.

Dentro un romanzo della pacatezza, in quanto non c’è erotismo, non c’è tragedia, non c’è alcunché di demoniaco, né di sordido, fondamentalmente quindi definibile come romanzo pedagogico, quello che emerge è l’impegno e la lotta per non dipendere dagli altri e  rendersi autonomi: saremo padrone di noi stesse (p.82), afferma Angelica; accanto all’onestà, come si evince dalla ‘morale’, non a caso messa in chiusura del romanzo, che Maddalena ammannisce a Moretto: l’uomo onesto trova dappertutto lavoro, stima e amicizia. Non c’è nulla al mondo che sia più prezioso di una coscienza tranquilla. (p.200).

La storia ha il suo nucleo fondante nell’amore adolescenziale di Angelica Urban e Antonio Dalla Paula, però abortito per l’opposizione dei genitori d’ambedue, dati la preoccupazione moralistica e  il divario sociale. Significativo, poi, che i due genitori viventi siano rappresentati in maniera del tutto negativa: Piero Urban è un despota, scialacquatore (p.64), disgustoso (p.25), cui basta poco per ubbriacarsi (p.28), mentre Chiarina De Faveri in Dalla Paula, sempre qualificata come la vecchia, è rimbambita. Di maniera che non c’è una figura di capostipite vista positivamente ad esclusione della madre di Angelica e Maddalena e di un loro antenato con simpatie illuministe, ma appunto personaggi ‘espulsi’ dal romanzo in quanto morti,  anche il marito di Catina De Faveri è un personaggio insulso e brontolone (p.25) anche se sior [3] (p.24).

Si può dire che in questo romanzo solo il morire innesca movimento anche se genera una duplice esito: un’avventura e una sventura. Infatti le vicende dell’intreccio narrativo sono racchiuse fra due morti, a distanza di sette anni l’una dall’altra, che nella loro funzione di complicazione innescano le peripezie che portano, nel primo caso, alla scelta delle sorelle Urban di diventare maestre e indipendenti, ma anche alla decisione di Angelica di rompere definitivamente con Antonio rifiutandone le profferte.  Nel secondo,  preparano la chiusa felice con il matrimonio, di sapore fiabesco con l’innalzamento  socio-economico: la ricchezza, una posizione elevata (p.189) della donna,  fra i due giovani Sergio e Lori. Lui, di per sé un bastardo, bellissimo (p.65 e p.139), divenuto ricchissimo, che non a caso sembra un principe (p.143). Lei, orfana[4],  selvaggia: una martora (p.35) ‘povera’, ma abile seduttrice: gli uomini si lasciano facilmente accecare, io lo so bene (p.186); ma anche al fallimento del desiderio di Maria Ressi di avere la figlia per sempre zitella a sua disposizione: la mia Lori conosce il suo dovere e non si mariterà. Resterà con sua madre.  (p.128).

È significativo come l’unico incontro amoroso riuscito del romanzo si realizzi mediante il topos narrativo del locus amoenus. Infatti incontriamo l’isolamento: C’era nelle vicinanze del paese un luogo selvatico e curioso (p.169),   un corso d’acqua: un ruscello (ibidem), uno spazio nella verzura: I cespugli di rovo, i nocciuoli, i muschi, l’edera e una quantità di piante rampicanti (ivi), rosai in fiore, formando quasi un grazioso baldacchino sul loro capo (pp.169-170), il riparo dalla luce: Sedute all’ombra, (p.170), ma in un giorno luminoso: un giorno bellissimo, alla fine di maggio, (p.169), la tranquillità piú  calma e serena: Una pace idilliaca scendeva sulle cose create, e sembrava riflettere il loro sentimento di riconciliazione e di quiete. (p.171), un’aria musicale: un bisbigliare e cinguettare di voci infantili, (p.172),  l’allusione a un percorso erotico: un vero labirinto (p.170), un’atmosfera romantica: il carattere dei paesaggi romantici (p.169).  Proprio in questo ‘luogo’, non a caso,  avviene  l’innamoramento fra Lori e Sergio: si guardarono per un momento con curiosità, (p.170). Ma vale la pena notare come in questo romanzo l’eros e il sesso siano giudicati negativamente e quindi rimossi. Curiosamente vengono riservati  ai due personaggi ‘non-umani’: Lori, che rappresenta la lussuria, è paragonata ad un animale: un animale furtivo e audace (p.33),   e Sergio che rappresenta il puer, l’innocenza divina, è paragonato ad un bambino: Sei proprio un bambino […]. Il nostro caro bambino. – Un bambino di ventitre anni suonati. (p.172).

Cosí come i due personaggi egemoni, probabile proiezione dell’autrice, Angelica, turbata dall’amore, e Maddalena, anerotica, sono quasi sempre in una relazione spaziale e intellettuale strettissima, quasi a significare un’unità simbolica che ha sublimato la sessualità per l’operosità e la dedizione culturale A tal punto da  richiamare le divinità classiche Artemide e Minerva, le  vergini bianche degli antichi.

Note

[1] E. Salvioni, Lavorare per vivere, Milano, Guerini e Associati, 2003,  (prima ed. 1941).

[2] Sergio, all’inizio del romanzo,  ha 16 anni (p.24) e, alla conclusione,  23 (p.144).

[3] Altre spie linguistiche venete, a marcare il colore locale,  ad es.: putele (p.34),  El Martorel, e larin (p.35), Bepi (nella stessa pagina in alternanza con la forma con geminata, p.38),  puito, e O da late o da ovi (p.107), ciò ti (p.129),  potaccio (p.134), s-ciao (p.143).

[4] Curioso come siano orfani tutti personaggi cruciali della vicenda narrativa: Angelica, Antonio, Lori, Maddalena. Pure la madre di Sergio rimane praticamente non caratterizzata, distante dal luogo degli eventi, isolata in Brasile.

 

Margherita Corna Pellegrini, laureata in lettere, collabora con i suoi articoli a diversi giornali dopo aver diretto per anni  un giornale per ragazzi.

A proposito di Emilia Salvioni  
Ho conosciuto Emilia Salvioni fin da quando ero bambina e andavo con la mia famiglia  a passare il settembre  dai nonni Schiratti a Pieve di Soligo.
Rileggerne ora i libri, recentemente riediti, mi ha rimandato con emozione a quel tempo ormai     “antico”, a momenti della vita quotidiana, a paesaggi che io stessa ho conosciuto e ho sempre amato.
Perché è proprio questa,secondo me, una caratteristica tutta propria ad Emilia Salvioni: quella di aver profuso a piene mani nei suoi racconti e nei suoi romanzi note autobiografiche che fanno rivivere ancor oggi in modo autentico-attraverso una prosa limpida e gustosa-quei tempi ormai passati. Le pagine de “Il bucato”, quelle sulla farmacia o sul paese di Pieve, sono descrizioni indimenticabili, così come le acute osservazioni di psicologia  nel racconto,
ad es., dell’angelo o le riflessioni delle due sorelle Urban in “Lavorare per vivere” fanno di Emilia Salvioni non soltanto una grande narratrice ma anche una preziosa credibile testimone di ambienti, vicende, pensieri tanto in contrasto con quelli dei giorni nostri ma dei quali Emilia ha fatto esperienza personale

Maria Grazia Gibelli, laureata in legge, giornalista, è una delle firme più
autorevoli di Famiglia Cristiana.

Emilia Salvioni con "Lavorare per vivere"cattura subito l'attenzione e
l'interesse del lettore per la verità del racconto,la descrizione vivida
di ambienti e paesaggi, oggi forse perduti, scaturiti dalla memoria del
cuore e da una nostalgia non patetica. Vien fatto di ricordare qualche
spunto del capolavoro di Nievo.
La psicologia delle protagoniste è rappresentata con intensità e con
riflessi fors'anche autobiografici specialmente nella figura femminile che
si emancipa con dignità e misura, reagendo all'ipocrisia soffocante di una
media borghesia per di più provinciale.

Teresa Bernardi, laureata in lettere moderne e orientali a Venezia, vive e
lavora a Pieve di Soligo.

Ogni libro stampato è per me un prezioso tesoro. E un libro salvato
dall'oblio lo considero due volte meritevole di attenzione. Esso aggiunge
infatti al proprio valore intrinseco quello del lavoro e della passione
che tante persone speciali hanno prodigato per riportarlo in vita.
Emilia Salvioni, grande donna di cultura in tempi in cui alle donne erano
riservati ben altri ruoli, risplende come un faro nella nebbia a
rischiarare l'ignoranza ed i pregiudizi che oscuravano il mondo femminile
a lei contemporaneo.
Oltre ai due volumi, da poco ripubblicati, "Angeliche colline" e
"Lavorare per vivere", ho avuto il privilegio di poter leggere "Intanto Erminia...", una perla autobiografica dove, oltre ai luoghi fisici cari
all'autrice, Bologna e Pieve di Soligo, si viene condotti per mano, con
discrezione e pudore,quasi in punta di piedi,a rivisitare i luoghi
dell'anima della piccola orfana che via via si fa donna, sotto l'occhio
vigile della fidata domestica Erminia.
Il tocco leggero di una scrittura sapiente rende scorrevole la
lettura, appena velata di tristezza. Visti i temi trattati, in mani meno
sensibili essi sarebbero potuti risultare un dramma a tinte fosche.
Mi auguro che anche per questo libro ci possa essere presto una nuova
edizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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