Emilia Salvioni
Una scrittrice ritrovata |
NOTA
BIOGRAFICA
Emilia Salvioni: appunti per una biografia letteraria
Emilia Salvioni nacque a Bologna il 2 aprile 1895 da Rosa Schiratti, originaria di Pieve di Soligo e cognata di Giuseppe Toniolo, e da Giovanni Battista Salvioni, professore di Statistica all’Università di Bologna. Non aveva ancora due anni quando perdette la madre; mentre la sorella maggiore era in collegio, lei rimase sola col padre.
Nella
solitudine e nell’isolamento forzato, maturò l’innata vivacissima fantasia
e acuì lo spirito di osservazione. Imparò a leggere a soli tre anni e i libri
furono i suoi compagni di giochi e il suo rifugio. E subito imparò anche a
scrivere, trovando proprio nella scrittura il modo più facile e naturale per
esprimersi e costruire il suo mondo interiore. Interrotti gli studi regolari
dopo la licenza ginnasiale, le fu impartita l’educazione propria delle giovani
della sua classe sociale: diploma di pianoforte, studio delle lingue classiche e
moderne, lezioni di pittura, a cui si dedicava durante le estati che continuò a
trascorrere, insieme all’inseparabile sorella Anna, nella casa acquistata dal
padre a Pieve di Soligo, dove incontrava la numerosa parentela della famiglia
della madre. Nella sua geografia spirituale si possono identificare due centri,
l’uno, Bologna, il luogo della cultura e del lavoro; l’altro, Pieve di
Soligo, il paese delle origini, il luogo degli affetti e delle vacanze che la fa
sentire «veneta per quattro quarti». Grazie al quotidiano contatto con
l’enciclopedica cultura del padre, si formò una vasta e profonda cultura.
Proprio questa preparazione la mise nella condizione nel 1927, quando si trovò
nella necessità di lavorare per vivere, di accettare il posto di bibliotecaria
presso l’Istituto Giuridico dell’Università di Bologna, occupazione che
svolse con dedizione e impegno per quarant’anni e che non le impedì di
dedicare alla scrittura, tutte le ore libere. Come scrittrice esordì nel 1918
pubblicando le prime novelle e firmò con lo pseudonimo Marina Vallauri,
suggeritole dal padre, i due romanzi usciti nel 1922 e nel 1923. Narratrice
versatile e ricca di interessi, seppe destreggiarsi in generi letterari e
registri di scrittura diversi, passando dal romanzo impegnato di analisi sociale
e d’introspezione psicologica (Danaro;
I nostri anni
migliori), al «giallo»
(Gli uomini sono
cattivi),
dall’indagine della situazione femminile in un mondo di rivolgimenti sociali (Carlotta
Varzi S.A.), a romanzi
sentimentali e leggeri per «giovinette» (Sette
belle ragazze); la
passione per gli studi storici e per la ricerca le permisero di cimentarsi anche
nel genere della biografia (Padre
Matteo Ricci; La
grande avventura di Francesco Saverio).
Alla letteratura destinata ai giovani lettori dedicò buona parte della sua
produzione; il suo costante impegno fu premiato dal successo testimoniato dalle
numerose edizioni di alcuni suoi libri. Sollecitazioni da parte di case editrici
e della stampa furono insolitamente copiose e intensa fu sempre la sua
collaborazione a riviste, periodici e quotidiani. Con grande abilità e sagacia
Emilia riuscì a intessere relazioni e collaborazioni con il mondo del
giornalismo. Dagli esordi, nel 1910, fino al 1968, anno della scomparsa,
troviamo la sua firma in più di trenta diverse pubblicazioni, una copiosa
produzione di novelle e racconti, articoli di costume, letteratura, arte,
cinema, teatro, in cui riflette in modo elegante e mai superficiale i suoi
interessi poliedrici. Fondò e diresse una rivista femminile quindicinale, Serena;
fu membro della giuria in concorsi per opere teatrali e di narrativa. Diresse
dal 1952 al 1963, presso la casa editrice Cappelli, la Collana
Azzurra, in cui venivano
pubblicati romanzi per signorine, che riscosse notevole successo di pubblico.
Partecipò con piacere alla vita sociale della sua città, sempre disposta a
impegnarsi in attività culturali e benefiche. Fu una conferenziera ricercata e
apprezzata per l’interesse dei temi trattati e il modo brillante e arguto con
cui li sviluppava. Mantenne vivaci relazioni col mondo letterario, con il
circolo delle scrittrici a lei contemporanee, con la società colta
universitaria bolognese che ogni sabato trovava nell’abitazione della
scrittrice e nella sua figura di intellettuale un punto d’incontro. Questa
molteplice attività non passò inosservata agli occhi dei contemporanei e della
critica. Nel 1932 fu segnalata dall’Accademia Mondadori per la commedia La
casa nuova, lo stesso
accadde nel 1933 per una raccolta di versi e per il romanzo Danaro,
che la stessa Mondadori pubblicò nel 1934. Nel 1939 vinse il concorso «La
Scuola Italiana Moderna» col romanzo Lavorare
per vivere; nel 1941
ricevette una segnalazione al concorso «Giornale d’Italia» per il romanzo Carlotta
Varzi S.A.; nel 1953 una
giuria composta da Aldo Palazzeschi e Marino Moretti le conferì il secondo
premio al Concorso UECI, premio A. Manzoni, per il romanzo E
intanto Erminia…Benché
noti e autorevoli critici (Francesco Casnati, Igino Giordani, Vincenzo Schilirò,
Agostino Turla, Pietro Pancrazi) abbiano compreso e messo in rilievo i pregi di
sue singole opere, mancò una valutazione complessiva che desse conto di una
produzione letteraria così molteplice, ricca e interessante, e dopo la sua
morte, avvenuta a Bologna, il 4 giugno 1968, fu presto dimenticata.
È
sepolta a Pieve di Soligo nella tomba di famiglia. Sulla lapide è racchiuso il
suo tragitto terreno in una sintesi possibile solo alla poesia di Andrea
Zanzotto:
L’AMORE
DELLO SCRIVERE / IN CUI SEPPE TRASFONDERE / LA
SUA
APERTA CRISTIANA UMANITÀ / RAGGIUNGENDO I VALORI
DELL’ARTE
/ L’AMORE DEL LIBRO / CUI DEDICÒ LA SUA CURA COSTANTE
/
QUALE BIBLIOTECARIA DELL’ISTITUTO / GIURIDICO
DELL’UNIVERSITÀ
BOLOGNESE / RESERO LA SUA VITA UMILMENTE
ALTAMENTE
/ OFFERTA ALLA LUCE DELLO SPIRITO.
Nota a cura di Amalia Corrà